Lo Scirocco - per Inchiostro di Puglia

Lo scirocco 

10/20/2014 
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Un bagliore di luce illumina la statale 247 che collega Gallipoli con Leuca. Il flash acceca i passeggeri e sparisce dopo aver leccato la targa dell’auto.
“L’hai visto?”
“Sì, cos’era papà?”
“Era l’autovelox, stavo andando troppo veloce e mi sa che ho preso una bella multa. Ora rallento.” Controlla lo specchietto retrovisore per vedere se non li segue nessuno e stringe entrambe le mani sudate sul volante. Proseguono nella notte senza più fiatare.
“Marina di Pescoluse.” La bambina legge il cartello direzionale, saltellando sul posto e appoggiando la fronte sul vetro del finestrino “non vedo niente.”

“Aspetta un po’ Amelia, ancora qualche minuto.” La macchina si tuffa a destra per imboccare un’altra strada. I cartelloni di ristoranti e di lidi s’intensificano, spuntano le prime case. Per strada non c’è un’anima viva.
“Guarda alla tua destra, vedi quel nero profondo? Quello è il mare.”
Amelia abbassa il finestrino e si sporge, l’aria fresca riempie l’abitacolo.
“Chiudi tesoro, che ci ammaliamo. Tu non vuoi tornare all’ospedale vero?”
La bambina richiude il finestrino, l’auto prosegue fino al parcheggio e si arresta in mezzo al piazzale vuoto.
“Siamo arrivati. Ora ti abbasso il sedile, così dormi un po’ cucciola.”
“Papà, quando andiamo sulla spiaggia?”
“Domani. Faremo una bella passeggiata e se sarà una giornata di sole potremo stare in giro tutto il giorno. Intesi? Ora però devi dormire. Dai un bacio a papà.” La bambina l’abbraccia per il collo e gli dà un bacio sulla guancia.
“Ti voglio bene.”
“Ti voglio bene anch’io. Vado a fare due passi qui fuori, ok?”
La bambina non risponde, è già crollata. Lui le rimbocca la coperta, le passa la mano sulla testa meravigliandosi quanto il pallore del suo viso spicchi anche nell’oscurità della notte.
Ha bisogno di respirare, di uscire fuori.

Un pezzo della spiaggia è divorato dall’alta marea. La sabbia è umida e l’aria è fredda e appiccicosa. Lui rischia di ammalarsi a star seduto per terra, ma poco gli importa. Boccheggia l’aria fredda che gli lacera la gola.
Piange, geme e trema accovacciato nella stessa posizione per ore finché non sente di aver svuotato il corpo dal dolore e dalla rabbia accumulati dal momento della fuga dall’ospedale di Taranto. Poche ore prima lui aveva sfruttato la confusione per portare Amelia fuori a fare due passi nel parco adiacente. Lei era molto debole, priva di quella energia vitale da bambina che lo faceva tanto sfinire.
“Piano” le diceva “non correre che ti farai male. Ma non sei stanca?” e la bambina rideva e continuava a saltellare in giro. Cosa non avrebbe dato per vederla correre di nuovo così, per allontanarla da quel luogo di morte dove il suo medico curante aveva pronunciato la sentenza definitiva misurando la sua vita in giorni se non in ore.
Un’infermiera si era affacciata dall’ingresso cercando qualcuno e lui si abbassò per non farsi vedere.
“Ehi cucciola, ti va se andiamo al mare?” lei lo guardò stupita.
“Potremmo partire subito e domani ci alzeremo presto per fare una bella passeggiata sulla spiaggia. Ci stai?” la bambina fece sì con la testa.
Passarono da casa per prendere qualche indumento e un paio di coperte e poi partirono protetti dalla discrezione della notte verso il sud, direzione: Marina di Pescoluse dove lui aveva trascorso ogni estate a coccolare la sabbia bianchissima con i piedi nudi e a giocare con gli altri bambini in compagnia dei nonni. Fino alla loro morte quel posto per lui era stato il paradiso sulla terra, e lì, dove il suo animo trovava pace con il resto del mondo, decise di portare Amelia.
Le piccole onde si schiantano a meno di un metro dai suoi piedi. Spaventato, con gli occhi pesti solleva la testa e dopo aver scrutato l’auto rivolge lo sguardo dolente verso la spiaggia catturato dall’apparizione di una figura.
Una sagoma dai lineamenti sfumati avanza verso di lui barcollando sulla linea tra l’asciutto e il bagnato. Lui fissa la figura senza muoversi, muscoli tesi, pronto per difendersi. L’estraneo si ferma davanti a lui come se lo stesse guardando. Il freddo della notte gli sale fino al collo, si accorge di avere i jeans inzuppati. La persona alza il braccio per salutare qualcuno in lontananza, si volta e torna nella direzione da dove era venuta.
Lui si rende conto di ansimare per la paura. Là dov’è scomparsa la prima persona ne stanno spuntando altre due, tre, cinque, una massa di gente. Sbucano dal nulla, camminano in tutte le direzioni fino a riempire la spiaggia.
Coppiette e singoli, bambini e anche cani sfilano davanti a lui senza vederlo. Ecco un bambino che rincorre il pallone che finisce in acqua e il ragazzo senza indugi si tuffa per prenderlo. Nessuno schianto d’acqua, nessuno che corre a prenderlo, è autunno, l’acqua è gelida, perché nessuno va a salvarlo?
Si sente solo il rumore delle onde che ormai accarezzano i suoi piedi. Le scarpe sono fradice. Com’è possibile che tutte queste persone sulla spiaggia non facciano rumore?
Si alza da terra e si prende subito uno spavento perché uno di loro gli corre incontro, non rallenta, lo punta e lo prende in pieno… e poi passa attraverso il suo corpo e continua la corsa come se niente fosse. 
“Ehi!” non sa nemmeno a chi lo sta gridando, si sente invisibile. Chi sono queste persone? Sono dei miraggi o è lui che sta sognando? Oppure sono dei fantasmi? No i fantasmi non esistono, almeno non dovrebbero esistere. Eppure gli occhi vedono qualcosa, qualcuno. Sembrano persone normali venute a passare una giornata estiva al mare. Loro indossano i costumi, hanno caldo. Lui è vestito e ha freddo.

Lo incuriosisce una coppia dall’aspetto molto familiare a pochi metri di distanza. Sono seduti sulle sedie a sdraio, lui con la testa china sul petto, sta dormendo e lei guarda il mare, proprio come facevano i suoi nonni.
“Nonna!” gli manca il fiato, la voce esce fuori come un latrato, è proprio lei. Si sedeva nello stesso modo a guardare lui che giocava in acqua e si allontanava sempre di più dalla riva. Si ricorda ancora che lo faceva di proposito, ma quando si accorgeva di essersi allontanato troppo alzava lo sguardo e salutava la nonna con la mano aspettando che lei ricambiasse.
La nonna fantasma, come allora, alza il braccio e saluta nella direzione del mare, fa il gesto di tornare sulla riva, poi solleva la borsa frigo, la posa sulle ginocchia e tira fuori dei panini. Ah i panini con la frittata, poteva succedere di tutto, ma quando arrivava l’ora di pranzo i famosi panini alla frittata della nonna non mancavano mai. 
Lui s’incanta impaziente a guardare lo svolgimento della situazione, se loro sono i fantasmi, allora non c’è alcuna possibilità di vedere se stesso da bambino spuntare lì da un momento all’altro.
La nonna posa i panini sul telo, prende la bottiglia d’acqua, riempie il bicchiere e lo tende in avanti. Tremando per il freddo lui segue quel gesto, fa un passo in avanti per vedere meglio e si blocca. Un piccolo fantasma si avvicina e prende il bicchiere dalle mani della nonna.
“Sto sognando! Non posso essere io! È tutto un’illusione” si dice mentre non riesce a distinguere i tratti del bambino, sono sbavati, come in un disegno con l’acquarello troppo liquido. La piccola figura si muove in fretta, a scatti, si butta sul telo con la pancia in giù e acchiappa il panino. Gambe piegate nelle ginocchia, talloni in su si mettono a dondolare avanti e indietro. 
Lui non si metteva mai così sul telo da piccolo, non per mangiare. Chi è allora? Più guarda e più i tratti si fanno netti. Prima distingue le dita dei piedi che si muovono separatamente dal moto continuo delle gambe. “Che creatura irrequieta” pensa lui. Ora vede molto meglio, vede la lunga coda di capelli castani. L’ultima volta che lui aveva visto quella coda Amelia non era ancora malata e i suoi capelli non cadevano a ciocche dopo la chemioterapia. L’ultima volta che lui aveva visto Amelia così fu quando la vita pulsava ancora in ogni suo arto, ballava sulla sua bocca e parlava attraverso i suoi occhi. È proprio lei, come lo era allora.
“Amelia” la chiama invano.

Le onde si schiantano con violenza su di lui, si alza il vento. Il vento caldo con le raffiche sempre più forti soffia sulla spiaggia, soffia sui fantasmi che si dissolvono uno alla volta. Una raffica ancora e svanisce tutto, le persone, i bambini, i cani, i suoi nonni e la sua Amelia. È solo! La spiaggia è buia e inquieta, le acque gli bagnano le gambe e le lacrime bagnano il suo viso.
Lo Scirocco soffia indisturbato su di lui, sull’unica anima viva nei pressi di Marina di Pescoluse. 


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